Borrelli: “Problema educazionale. La ‘riforma’ deve partire da quei salotti culturali che da decenni hanno elevato camorristi e criminali a miti e leggende.”
Giocano a fare boss di mafia ma sono ancora bambini, bambini napoletani. Un gioco nato in strada e fatto diventare virale grazie a Tik Tok.
Come racconta Il Mattino, i 7 ragazzini simulano un processo di mafia. Nel video, postato mesi fa e condiviso di recente tramite i profili social, si sente una voce fuori campo che fa l’appello, scandendo i nomi dei mafiosi e le rispettive condanne: Michele Greco, ergastolo; Salvatore Manfellotto, ergastolo; Bernardo Provenzano, ergastolo; Salvatore Riina, ergastolo; Salvatore Madonia, ergastolo…”. Per ogni nome un ragazzino viene prelevato da due coetanei che interpretano il ruolo di agenti di polizia penitenziaria, come se ci trovassimo nel chiuso di un’aula di giustizia, magari al termine del maxiprocesso ai capi di Cosanostra.
Sul caso indaga la Procura per i minori, ufficio guidato dal procuratore Maria De Luzenberger, anche alla luce delle parentele dei ragazzini finiti al centro delle indagini. Scrivono gli inquirenti, nell’ambito di una nota di pg: «Nel video si assiste alla presenza di due ragazzi incappucciati che prelevano uno a un altro giovani attori che fanno la parte dei capi della mafia, dopo una condanna all’ergastolo, per essere condotti in cella». C’è una musica in sottofondo, che evoca suggestioni degne di don Vito Corleone, mentre sfilano gli attori tradotti dagli incappucciati all’esterno della scena, in un contesto in cui viene meno ogni possibile lettura goliardica.
Al lavoro i pm minorili, si scopre che tutti i soggetti interessati sono appartenenti a famiglie legate a clan cittadini. Droga, estorsioni, omicidi. Quanto basta a spingere gli inquirenti a compiere verifiche che vanno dai social alla vita reale, in una sorta di rimando destinato a nuovi approfondimenti. A scavare nelle vite dei cinque o sette ragazzini (compresi i due incappucciati) vengono fuori altre imprese, sempre degne di essere analizzate da parte degli inquirenti: hanno postato video mentre sono al volante di automobili che non potrebbero condurre, perché parliamo di veicoli non omologati per chi non ha ancora conseguito la patente; usano toni e riferimenti minacciosi nei confronti di fantomatici avversari da abbattere. Doveroso a questo punto un altro tipo di approfondimento: l’obiettivo è infatti capire se ci fosse la presenza di soggetti adulti in fase di montaggio. Di chi è la voce che scandisce le pene all’ergastolo comminate ai rispettivi imputati? E come mai dei ragazzini di appena 15 anni conoscono nomi che sono affidati agli annali della cronaca giudiziaria degli anni ottanta e novanta del secolo scorso? Domande su cui si attendono risposte, anche solo per evidenziare il caso degli attori ergastolani all’attenzione degli assistenti sociali.
“E’ la riprova di quanto il mondo mafioso e camorristico eserciti un certo fascino sui giovani e non soltanto su di loro. La vicenda del Matteo Messina Denaro Style, che noi abbiamo denunciato, lo dimostra. E se è così è perché negli ultimi decenni la figura del boss, del criminale sanguinario, del mafioso è stata elevata a leggenda, a mito grazia a certi ambienti culturali radical-chic. Oggi con i social si è estremizzato questo discorso e quindi un evento, un personaggio, una fiction, un film, diventano prima moda e poi ossessione.”- dichiara il deputato dell’alleanza Verdi-Sinistra Francesco Emilio Borrelli – “Quando poi si tratta di ragazzini che vivono in certi contesti legali alla criminalità si può facilmente comprendere che su di loro abbiano esercitato certe influenze gli ambienti familiari e quindi da essi andrebbero allontanati. Serve rieducazione alla legalità, gli eroi per i giovani devono essere ben altre figure. Ma questa rieducazione non deve essere una forzatura ma deve diventare qualcosa di naturale altrimenti i giovani andranno, di conseguenza, nella direzione opposta. Una rieducazione che insomma deve partire proprio da quegli ambienti culturali di cui sopra.”