La Napoli dei murales e degli altarini della camorra e dalla criminalità.

Commemorazione dei morti? No, espiazione delle colpe di chi spinge i ragazzi a morire per un Rolex.

-La situazione Vicoli, basolato, tufo e profumo perenne e onnipresente del caffè non sono gli unici elementi che caratterizzano ed identificano Napoli perché esiste nella città alle pendici del Vesuvio una realtà ben più oscura, anche se nell’oscurità non viene tenuta ma, anzi, soprattutto negli ultimi anni, viene portata ‘fieramente’ alla luce del sole, quasi come un motivo di vanto.

Si parla della incombente presenza della camorra e dei suoi derivati, una presenza che si fa sentire non soltanto alimentando costantemente il sistema criminale ed incuneandosi nel tessuto economico, sociale e politico del territorio ma anche andando a solcare pesantemente il retaggio culturale partenopeo seminando forme inquietanti di pensiero in cui i boss prendono il posto deli eroi. Ed è così che il territorio napoletano, nel centro storico cosi come nella periferia, è tappezzato di murales, altarini, edicole votive ed opere varie dedicate a boss, affiliati ai clan, rapinatori, estorsori ed ogni sorta di criminali.

Non è certo una situazione nuova ma è venuta alla ribalta negli ultimi mesi soprattutto dopo le vicende legate ai baby-criminali Luigi Caiafa ed Ugo Russo, morti nel tentativo di mettere a segno delle rapine, entrambi celebrati ed osannati con murales ed altarini realizzati in maniera abusiva, senza autorizzazione alcuna.

-L’intervento Vista la situazione, diventa insostenibile e mortificante per la città, anche grazie al contributo dato sulle piattaforme social, divenute mezzo per la propaganda criminale ( ne è un fulgido esempio la santificazione del baby-boss di Forcella Emanuele Sibillo ucciso in un agguato), dopo una riunione del 4 marzo presieduta dal Prefetto di Napoli, Marco Valentini, alla presenza dei vertici territoriali delle Forze dell’Ordine, della Procura della Repubblica presso il Tribunale e della Procura generale presso la Corte d’Appello, dell’assessore delegato dal Sindaco di Napoli sono partiti gli interventi di rimozione di murales ed altarini che celebrano ed omaggiano criminali e camorristi.

Le prime opere rimosse sono state quelle dedicate a Luigi Caiafa a Forcella, il murale e l’altarino installati a pochi passi dall’abitazione del rapinatore, un basso dove il padre del ragazzo, Ciro Caiafa, legato agli ambienti criminali, ha trovato la morte in seguito ad un agguato. Le operazioni si sono svolte non senza tensioni.

Un ruolo importante, soprattutto dal punto di vista mediatico, ideologico ma anche operativo, è stato ricoperto sicuramente anche  dal Consigliere Regionale della Campania di Europa Verde Francesco Emilio Borrelli il quale ha continuato a chiedere con veemenza e decisione la rimozione di tutte le opere pro-camorra e pro-criminali soprattutto quando l’amministrazione cittadina ha  continuato a tergiversare favorendo, ed in parte fornendo degli alibi  e tollerando, la viralità della propaganda camorristica  e criminale unendosi così di fatto a quella parte radical chic del modo della “cultura”  che con una distorta visione pasoliniana trova affascinanti quelle storie dei “ragazzi di vita” che in questo caso non sono vittime della società ma, piuttosto, fanno della società una vittima. 

-Il Movimento Ugo Russo Ilmega-volto di Russo realizzato ai Quartieri Spagnoli, invece,  è stato oggetto di un‘ordinanza emessa dal Comune di Napoli che ne prevedeva la cancellazione entro il 24 febbraio che però è stata rimandata a data da destinarsi ed intanto ha preso vita  il Comitato “Verità e Giustizia per Ugo Russo” che chiede la salvaguardia del murale dedicato al baby-rapinatore che rappresenterebbe, secondo esso, una sorta di monito per i ragazzini dei vicoli e una giusta e sacrosanta commemorazione per una ragazzino a cui è stata strappata la vita.

-L’analisi Il Movimento per Russo però non tiene conto, o meglio si rifiuta di farlo, del contesto familiare in cui Ugo è cresciuto: subito dopo il tentativo di rapina finito male, Ugo fu trasportato all’ospedale dei Pellegrini che fu preso d’assalto dai familiari e amici del giovane che lo devastarono, inoltre in quello stesso momento, due amici di Ugo spararono dei colpi di pistola all’esterno della caserma dei carabinieri Pastrengo. Un ambiente quindi della mentalità fortemente criminale, come dimostrano anche gli arresti di zii e nonna del ragazzo dopo un blitz della Polizia alla piazza di spaccio dei Quartieri Spagnoli, che senza dubbio alcuno ha condannato Ugo ad una vita, a cominciare sin dalla giovane età, dedita a rapine, furti e crimini.

“Che ne sapete voi di cosa significa crescere in quartiere difficile? Ugo non aveva scelta, ha provato a lavorare ma gli davano 50 euro a settimana” – è la frase ricorrente dei familiari di Russo e del Comitato “Verità e Giustizia” ma forse si dimentica che Ugo aveva 15 anni, nessun figlio a  carico, tutto il tempo per imparare un mestiere, per crescere culturalmente, professionalmente e mentalmente per farsi una vita lontano dal quartiere difficile ed invece quella mentalità ottusa  e retrograda lo ha obbligato moralmente a perseverare nelle rapine di Rolex, i  cui proventi forse facevano comodo ai familiari.

Così invece di edificare altarini e commissionare murales, un invito per i più giovani a seguire l’esempio del giovane rapinatore, divenuto per essi un eroe, i familiari ed il Comitato avrebbero dovuto agire prima, quando Ugo era in vita, mostrandogli una strada alternativa, regalandogli davvero verità e giustizia, perché il 15enne è stato sì vittima della società, ma di quella piccola società criminale in cui è cresciuto e che ora continua a predicare idee egoistiche. Si perché, lo sanno tutti, almeno in cuor proprio: le cappelle non si edificano per commemorare i morti ma per far sentire i vivi in pace con sé stessi, le si costruiscono per espiare delle colpe. Dimostrazione di ciò potrebbe essere la massiccia presenza di altarini e cappelle nei quartieri più a rischio costruiti o fatti commissionari soprattutto da elementi legati fortemente al mondo della criminalità organizzata.  Per comprendere si pensi all’assassino che chiede il perdono tramite il prete confessore o all’usuraio che si prodiga in opere pie. Non sono storie di fantasia, né tantomeno rare.

Quindi, non è che la famiglia di Russo ed il Comitato si battono per salvare qualcosa che servirebbe loro per espiare la colpa di aver fatto crescere un ragazzo nella strada della criminalità che lo ha condotto ad una morte prematura?

Se si fossero mossi in tempo forse Ugo sarebbe ancora vivo e non avrebbero dovuto costruire altarini e murales ed ora nessuno gli chiederebbe di toglierli. Sarebbe stata allora si Verità e Giustizia.

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